FEDERICO INFANTE | FOCUS

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Il pittore cileno Federico Infante è stato scoperto a New York nel 2014 da PUNTO SULL’ARTE e, grazie alla Galleria varesina, l’anno successivo ha esordito nel mercato europeo. Il suo lavoro è stato presentato alla 12° edizione di ArtVerona (2015) e l’anno seguente PUNTO SULL’ARTE ha realizzato la sua prima mostra personale in Italia dal titolo “We can see the wind” (2016). La mostra è stata accolta con entusiasmo dalla critica, è stata segnalata dal canale Sky TG ARTE e ha sancito l’inizio di un fortunato percorso di crescita insieme alla Galleria varesina.

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Federico Infante e lo Staff di PUNTO SULL'ARTE, in occasione del vernissage di "We can see the wind", 2016

L’ARTISTA

Federico Infante nasce a Santiago (Cile) e, dopo alcuni anni trascorsi a New York, attualmente vive e lavora in Virginia.

Pur essendo un giovane artista, si è subito distinto nel mercato americano. Si è formato presso la Finis Terrae University di Santiago e successivamente nella Grande Mela, dove si è laureato nella primavera del 2013 con un MFA in Illustrazione presso la School of Visual Arts di New York. Il suo approdo negli Stati Uniti è stato possibile non solo per lo spiccato talento del pittore, divenuto presto una firma riconoscibile nel panorama dell’Arte Contemporanea, ma anche per i numerosi premi che negli anni gli sono stati riconosciuti e che gli hanno permesso di proseguire all’estero i propri studi; ha infatti ricevuto la sovvenzione Juan Downey (2004), la borsa di studio Conicyt (2009) e la borsa di studio della Fondazione Uanlane (2012).

Dopo le prime mostre personali e collettive di successo in Cile, è il 2014 a segnare il debutto ufficiale del pittore cileno negli Stati Uniti, con la sua prima personale a New York: “The Space Between“, presso la prestigiosa Bertrand Delacroix Gallery nel cuore di Chelsea.
Il successo di Infante negli USA è rapido: solo un anno più tardi, nel 2015, è semifinalista per il “NYFA Basil H. Alkazzi Award for Excellence”. Non sorprende dunque che i suoi lavori siano oggi parte di collezioni private di tutto il mondo, negli Stati Uniti certamente, ma anche in vari paesi in Europa tra cui Francia, Italia, Belgio e Gran Bretagna, in Arabia Saudita e a Singapore.

Studio visit, 2018

Le radici della creatività di Infante, solida base su cui poggia oggi la sua carriera artistica, vanno rintracciate nell’infanzia del pittore, e nel sostegno ricevuto dalla famiglia, in particolare dalla madre.

«Ricordo che quando ero bambino trascorrevo ore – qualche volta la giornata intera – a disegnare. Allora guardavo le immagini dei libri d’arte, dei libri che insegnavano a disegnare, con lo scopo di imparare a creare la giusta prospettiva e di apprendere l’anatomia della figura umana. Il disegno era il mio mondo. Ricordo il senso di divertimento e l’assoluta soddisfazione quando il risultato appariva migliore delle aspettative, anche migliore dell’originale. Ricordo lunghe conversazioni interiori, con me stesso, sulle immagini e sulle figure che un giorno sarei stato capace di dipingere.»
«Mia madre ha avuto un ruolo fondamentale nel mio sviluppo artistico quando ero un bambino. Era sempre molto emozionata quando andavo a mostrarle un disegno finito. Mi ha incoraggiato a frequentare una scuola d’arte, mi ha sempre sostenuto e mi ha aiutato a trovare la mia voce personale, a evolvermi nel mio lavoro.»
Ispirato dal paesaggio cileno e, oggi, dalla vita di tutti i giorni negli Stati Uniti, Infante crea dipinti onesti che ritraggono universi meravigliosi e onirici.

Nei suoi dipinti si intrecciano echi della tradizione romantica europea, uno spirito realista e tocchi quasi surrealisti, senza dimenticare la lezione della pittura gestuale americana. Spesso si ama un’opera d’arte proprio per la sua capacità di farci “sognare”, per l’invito che ci rivolge a lasciarci trasportare completamente dai nostri pensieri. Il lavoro di Federico Infante si propone anzitutto questo: far respirare all’osservatore, grazie ad un linguaggio universale, un’atmosfera sognante dove lasciar vagare la mente.

The Dutches, 2015, acrilico su tela, 76 x 121cm

SOLILOQUIO

“Soliloquio”. Questo il titolo della doppia personale – a cura di Alessandra Redaelli – con cui Federico Infante tornava nel 2018 da PUNTO SULL’ARTE, accanto allo scultore svedese Johannes Nielsen.

Soliloquio, installation view, 2018

“Soliloquio”.
Una parola che non è solo un titolo: è un manifesto.
Come meglio descrivere il dipingere di Infante e, ad opera conclusa, il compito dello spettatore?

Per ognuna delle proprie opere, egli si affida ad un personale processo d’intuizione creativa, un metodo, che descrive così:

«Comincio con un gesto espressionista, quello di ricoprire la tela con diversi strati di pittura, per poi grattarli via. E ripeto questo procedimento diverse volte. Non pianifico le immagini in anticipo. Quello che cerco di fare è essere più vigile e distaccato possibile rispetto al risultato: solo in questo modo sono in grado di esprimere quella parte di me non soggetta a processi logici»
Uno strato di colore dopo l’altro, il punto d’avvio del processo razionale: l’artista scava nella pittura per decodificare ciò che il suo subconscio ha espresso per renderlo tangibile, grattando via il colore seguendo l’istinto, scavando la materia pittorica come si scava il marmo, per farne uscire ciò che è nascosto al di sotto.

E appena appaiono dei punti di riferimento nel colore, delle ombre conosciute, delle silhouettes accennate, ecco che Infante le mette a fuoco, lasciando emergere con nitidezza i protagonisti dell’opera, siano essi una donna, un fiore, delle antiche ovine, un uccello, o il vento stesso.

L’artista toglie uno strato dopo l’altro, come si fa quando si cerca di mettere a fuoco un sogno appena fatto. «Poi dipingo gli elementi figurativi di questa atmosfera. Spesso una persona in piedi da sola, o un’architettura che esce dall’oscurità o un cielo aperto che implica la presenza di una figura invisibile. In questo modo ogni quadro mi mostra la sua singolare identità.»

Egli stesso vive e restituisce il paradosso di essere svuotato e riempito allo stesso tempo e «nonostante si tratti di una dinamica profondamente individuale, la tensione e l’ambiguità delle circostanze che spesso emergono fa sì che questa esperienza sia per certi versi condivisibile con chiunque si trovi davanti al quadro.»

“Non voglio che la mia pittura abbia l’aspetto di un racconto personale: quello che desidero è raccontare emozioni universali”

Federico Infante

Le opere di Federico Infante invitano infatti lo spettatore all’auto-introspezione, alla ricerca del proprio io interiore e spirituale, che la superficialità e la frenesia del quotidiano spesso appannano e sovrascrivono.

Se in Infante si ritrova lo spirito rassicurante della pittura di figura della tradizione (non può che venire in mente la lezione romantica de il “Viandante sul mare di nebbia” di Friedrich) è tuttavia proprio negli spazi onirici della tela che si ritrova il tocco nuovo e contemporaneo del pittore cileno, spazi che egli realizza abbandonandosi all’istinto. La dicotomia tra indeterminatezza delle ambientazioni e la precisa definizione della figura protagonista è una delle chiavi del fascino della pittura di Infante, così nebulosa ma allo stesso tempo piena di tensione emotiva fortemente contemporanea.
I personaggi ritratti da Federico Infante sembrano essere alla ricerca di qualcuno o qualcosa che hanno perduto nella nebbia e nelle nuvole. Allo spettatore non è dato sapere chi o cosa stiano cercando, poiché è chiamato a ritrovare nella tela ciò che lui per primo ha perduto.

Morning Light, 2017, acrilico su tela, 61 x 121 cm

Soggetti dunque che sebbene isolati, nello spazio e nel tempo onirici della tela, non sono “soli”, persi, ma semmai immersi, parte di un panorama fisico e metafisico dove non sono viandanti ma protagonisti.

Il mondo e la natura che circondano il soggetto, nelle opere d’Infante, si animano e si muovono con esso e non restano di sfondo. Sono sfondi ricchi, di significati possibili e materia, scrostata con paziente arte dal pittore e pronta ad accogliere le libere associazioni che si creano nello sguardo dello spettatore.

«Cerco di evitare autoritratti così come di ritrarre giovani uomini altrimenti la gente penserebbe immediatamente che sono io, anche se ovviamente ogni dipinto è una piccola parte di me. Ogni immagine che dipingo, sia maschile che femminile, ha lo scopo di evocare una grande energia. So che in ognuno di essi c’è anche un pezzetto di Federico Infante, ma sono anche sicuro che i quadri esisteranno da soli senza di me, senza la mia esistenza, e quando smetterò di essere qui diventeranno pezzi della mia anima che racchiude un messaggio universale.»

A recurring dream I (A), 2017, acrilico su tela, 78 x 57 cm
A recurring dream I (B), 2017, acrilico su tela, 78 x 57 cm

Le figure che popolano le opere di Federico Infante sembrano miraggi fra nubi polverose. Hanno volti sfuggenti e sguardi che non incrociano mai gli occhi dell’osservatore: più si cerca di afferrarne i contorni con lo sguardo, più esse sfuggono. Sono forse persone riservate, schive? Sono spiriti? Vogliono forse dirci che, prima di conoscere loro, dobbiamo imparare a conoscere noi stessi?
Il cuore dell’arte di Federico Infante è anche questo, farci immaginare mete possibili e spingerci sempre a metterci in viaggio.

RICERCA CONTINUA

La ricerca artistica di Infante non si arresta certo ad un metodo pittorico consolidato con l’esercizio. Sebbene infatti egli abbia affinato e reso distintivo il proprio processo creativo, l’artista cileno non smette di ricercare sempre nuovi mezzi espressivi o strumenti per sondare un’inesauribile creatività interiore. Non vi sono solo dipinti a portare la sua firma.

Nel 2015, Federico Infante è stato selezionato dalla casa editrice The Folio Society per la realizzazione della prima edizione illustrata dell’opera Lolita di Vladimir Nabokov. Il risultato è stato il volume Lo. Lee. Ta, con otto artworks originali dell’artista cileno, che ha accolto la sfida entusiasta: «Mi auguro che le immagini siano in grado di evocare l’atmosfera che ho percepito leggendo il romanzo, e un po’ di quella sensibilità e introspezione che Nabokov dona ai suoi personaggi».

«Nel mio lavoro personale utilizzo il mio processo creativo per trovare storie che sono nascoste e in attesa di uscire dalla mia immaginazione. Per questo progetto avevo dunque bisogno di trovare un’origine differente, e utilizzare la storia di Lolita come fonte d’introspezione, per trovare le immagini».

Lo. Lee. Ta, progetto di Federico Infante in collaborazione con la casa editrice The Folio Society

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In collaborazione con il Lamb Center For Arts & Healing, lo scorso autunno Infante ha preso parte all’ “Hopewell Billboard Project”: sette artisti legati affettivamente o materialmente alla città di Hopewell sono stati invitati a presentare una propria interpretazione della comunità, in una coinvolgente mostra d’arte pubblica diffusa.
Infante ha presentato l’opera “Hope”, un acrilico su tela poi riproposto nel formato principe dell’iniziativa, il cartellone pubblicitario: un medium commerciale trasformato in un volano di arte contemporanea per tutti.

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Il billboard dedicato all’opera di Infante
Hope (particolare), 2020, acrilico su tela, 142 x 254 cm

Non solo colori acrilici e tele, però: l’artista non nasconde il proprio sperimentalismo anche nel campo del digital painting e del videomaking, sempre alla ricerca non solo di mezzi personali di espressione ma, anzitutto, di un dialogo costante e reciproco con il proprio pubblico.

«Potrebbe sembrare che io abbia un’idea di quello che voglio, ma il 90% delle volte provo solo trame e colori diversi finché qualcosa non cattura la mia attenzione. A volte avere la libertà di sbagliare può aiutarti a trovare le risposte che stai cercando.»

Mirrors, video apparso sul profilo Instagram dell'artista

Infante fa arte con l’occhio della mente. Le sue opere sono allo stesso tempo profondamente personali e ampiamente accessibili per la natura stessa della profonda umanità che possiedono. Questa dicotomia non si traduce in opere chiuse ma in un’arte aperta alla possibilità. Ogni suo «esercizio» è l’inizio di qualcosa.

Mirror, 2017, acrilico su tela, 61x61 cm
Magnolia I (particolare), 2015, acrilico su tela, 121x76 cm