Ciro PALUMBO | FOCUS

Posted on

IMPROBABILE, NON IMPOSSIBILE

Lo si legge spesso in chi ha scritto di lui. Alle spalle di un artista come Ciro Palumbo ci sono i titani della Metafisica (i fratelli De Chirico) e del Surrealismo (Magritte e poi Dalì, e ancora Max Ernst). Eppure la reazione che proviamo davanti alle sue opere, riprendendo una limpidissima espressione del critico Luca Nannipieri, «non è una sensazione di ricapitolazione rispetto al passato».

Nonostante nelle sue tele si ritrovino spunti della grande storia dell’arte (basti pensare alla presenza di elementi della statuaria classica e una rappresentazione del paesaggio che fa l’occhiolino al simbolismo), non vi si avverte nulla di anacronistico o opprimente e, anzi, ci si ritrova davanti qualcosa di assolutamente inaspettato, spazioso e, anche quando straniante, confortante.

La Luna fra gli alberi in “Assenza” riporta certo alla mente quella tra i rami scuri de “Le seize septempre” di René Magritte per l’oniricità della visione, ma la reazione che genera in noi non è di ansia o di sospetto, bensì di curiosità e attrazione. Non c’è una landa brulla e interminabile alle sue spalle, ma un abbraccio roccioso ed una tavola che basterebbe da appoggio per arrivare alle stelle.

Si è scelta la parola spazioso non certo in riferimento ai formati. Ciro Palumbo non ha formati d’elezione ed è capace di essere incisivo nel piccolo come nel grande: nel piccolo, nonostante la curiosità bulimica del vedere cosa è riuscito a mettere sulla tela, non ci si sente nauseati; nel grande non si cade mai nel senso di vuoto, mancanza, insufficienza. Palumbo lascia spazio, equilibrio, ingredienti fondamentali per spalancare le porte dell’immaginazione.

Ciro Palumbo, Assenza, 2021, olio su tela, 50x60 cm
René Magritte (1898-1967), Le seize septembre, 1957, olio su tela, 162 x 130.2 cm

Oggi forse c’è meno De Chirico e più Magritte, o forse semplicemente c’è Palumbo e l’ombra di quei Padri va ormai affievolendosi.
Nei suoi Paesaggi improbabili, che non sappiamo se appartengano più alla mente o più al cuore, Palumbo richiama il passato, i temi che ha fatto suoi da tempo e che hanno scandito le sue serie pittoriche precedenti: il mito, il teatro, il gioco, gli eroi, i guerrieri…
Nei suoi ultimi lavori, l’artista aveva guardato anche alla pittura pop: nel progetto del 2018 “The strength of gods and heroes” aveva già scaraventato gli Dei e gli Eroi marmorei del mito classico nella più contemporanea e marvelliana delle dimensioni, come per dir loro (e per dire a noi) “questo non ve lo aspettavate ed invece succede davvero”.
Qui, di nuovo, accende le tinte delle sue tele ed i cieli non hanno nulla di cupo: esplodono i viola, le tinte giallo-oro, i rossi, gli azzurri e i blu. Persino dove egli stende il nero, l’animo è sereno. In Palumbo l’improbabile diviene possibile.

In un altro luogo, in un altro tempo, 2021, olio su tela, 110x130 cm
Avamposto, 2021, olio su tela, 35x30 cm
Vieni di trovarmi, 2021, olio su tela, 50x40 cm

De Chirico e Magritte costruivano mondi onirici, ma lo spettatore era sostanzialmente un esterno che li contemplava e cercava di decifrarli da fuori. Il sentimento, se c’era (stupore, paura, curiosità) filtrava fuori sottile e sibillino (Magritte stesso amava definirsi le saboteur tranquille, cioè il disturbatore silenzioso).

Le stanze e i panorami immaginari di Palumbo non sono ostili ed ermetici all’osservatore ma al contrario giocano con lui chiamandolo al dialogo interiore. Geometrie oniriche ed elementi naturali si incontrano felicemente: il monte e la riva sono approdi saldi ai quali si potrà tornare dopo aver galleggiato con la propria immaginazione tra fronde di stelle, Lune sornione e torri giocattolo.

Piccolo borgo, 2021, olio su tela, 35x30 cm

Ciro Palumbo è ripartito dalle lezioni pittoriche dei metafisici e dei surrealisti per arrivare a creare nelle proprie tele qualcosa di assolutamente originale che non appartiene più né agli uni né agli altri: uno straordinario microcosmo capace di affacciarsi sulla storia passata, sul presente e sul futuro dell’arte. «Questa è la forza, questa è la necessità dello stile individuale quando riesce ad imporsi come tale: ovvero riconoscere una tradizione, riconoscerne le paternità, le dipendenze, le grandezze, e al tempo stesso tradirle, superarle. Si è epigoni di una tradizione quando non si è capaci di innovare. Si è invece artisti quando la tradizione – i padri – si riconoscono e si violano. Si diserta il loro campo, dopo averlo compreso, per generare il nostro» – Luca Nannipieri.

QUELLA REGOLATA MERAVIGLIA

«Si è muti di fronte a certe opere di Ciro Palumbo, di una mutezza dettata da un senso di composta e regolata meraviglia. L’arte del Novecento ci ha abituato alle più disparate reazioni: l’indignazione, la perplessità, la riverenza, il rifiuto, l’indifferenza, il biasimo, il vivo stupore. Ma quale reazione si genera in noi vedendo i lavori di Palumbo? Certamente non il rifiuto, non l’indifferenza, non il biasimo. Allora che cosa? Che cosa sorge in noi vedendo le sue tele? Di cosa si compone quella regolata meraviglia che proviamo?»

Luca Nannipieri, critico d’arte e scrittore

Le opere di Palumbo sono ipnotiche: dialogano con l’immaginario dello spettatore lanciandogli sfide di riconoscimento degli oggetti e degli indizi disseminati in quei mondi. Poco a poco si rivelano, lasciano apparire suggestioni e dettagli. Occorre guardarle una, due, tre volte per riuscire forse a notare tutto e ogni volta si nota qualcosa di differente: un elemento mai visto prima, un simbolo, un colore a cui non avevamo dato peso.
E poi ci sono, come detto, tutti i rimandi alla storia dell’arte o alla più limpida contemporaneità, che rendono ogni tela un multiverso.
Racconta bene l’incontro con l’opera Alessandra Redaelli nel catalogo che accompagna la mostra: «Proprio come accadeva nel Rinascimento, quando davanti a una Madonna con bambino tutti potevano godere della bellezza dell’opera: dal semplice contadino che vi vedeva l’immagine di una madre amorosa all’erudito in grado di leggervi simbologie alchemiche e rimandi alla filosofia. Il punto è che non esiste pesantezza, qui».

Attesa, 2021, olio su tela, 35x30 cm

Palumbo, ad esempio, dissemina le proprie tele di cieli stellati o, sarebbe meglio dire, li nasconde, così che trovarli sia davvero una regolata meraviglia, una carezza nella quale crogiolarsi. In “Attesa”, il cielo stellato è alla finestra: per lo spettatore è un piccolo affaccio sul mondo onirico, pieno di libertà ma anche di misteri, e tanto basta per vedere universi di là dal muro. In “Memorie di cosmo” il cielo è all’interno di una cabina da spiaggia: c’è pure il salvagente, nel caso ci si volesse tuffare.

Lassù, 2021, olio su carta, 41x50 cm
Memorie di cosmo, 2021, olio su tela, 120x100 cm
Microcosmo, 2021, olio su tela, 35x30 cm

Indubbiamente l’ironia nelle opere di Ciro Palumbo non manca, eppure non è un’ironia severa, pessimista, bensì una fantasticheria bonaria e piena di speranza.

«Con determinazione e forza ha da sempre deciso di perseguire una pittura orgogliosamente lontana dalle urgenze, spesso vacue ed effimere, di una certa contemporaneità estrema, ponendosi in una dimensione senza tempo.» – Alberto Agazzani

L’EQUILIBRIO, IL SOGNO, IL VOLO.

In quel piccolo mondo, 2021, olio su tela, 50x40 cm

«Mi sento un viaggiatore, visionario imperfetto a caccia della bellezza nelle persone, nella poesia, nelle cose»
Ciro Palumbo

Messinscena. Una parola fondamentale per ragionare sulla pittura di Ciro Palumbo. Non nell’accezione della menzogna, bensì in quella del Teatro.
Le opere di Palumbo sono rappresentazioni teatralmente scenografiche, storie senza storia e senza tempo nate dall’immaginazione di un eterno fantasticatore. L’artista crea infatti dei palcoscenici enigmatici, ordinatamente caotici, senza coordinate spazio-temporali, né tantomeno geografiche, che lasciano l’osservatore disorientato ma curioso.

Palumbo gioca con un senso di voluto spaesamento, non operato da demiurgo onnisciente bensì da primo girovago di quei mondi, lui per primo intento ad indagarli oltre. Palumbo dipinge sognando anche per noi.

Tutto nelle sue tele è Teatro: fondali, quinte, effetti luminosi, macchine sceniche; persino le prospettive, che ricordano quelle antigravitazionali dei teatrini delle marionette e dei burattini, con quella visione un po’ a boomerang degli orizzonti, che ti tirano dentro e ti buttano fuori, e con quel palcoscenico che ti si inchina davanti e ti chiede di salire.
Il coinvolgimento visivo diventa vettore per quello mentale e infine emotivo.

Magia in un interno, 2021, olio su tela, 70x50 cm

Non riusciamo del tutto a capire quale siano le leggi segrete che governano i suoi luoghi, dove siano i fili che tengono appese tutte quelle geometrie, eppure è un ignoto che non ci spaventa poiché popolato da simboli archetipici e inconsci che riconosciamo poiché ci appartengono nonostante non sappiamo da dove li abbiamo appresi, da cieli stellati racchiusi nel confort di una stanza, palloni e piramidi, nuvole fumose sospese su architetture giocattolo che paiono afferrabili e smontabili come Lego dal nostro animo bambino.

Desidero andare là, 2021, olio su tela, 140x160 cm
Su quella sedia c’eri tu, 2021, olio su tela, 60x70 cm

E ancora, la lista è lunga.
Alberi arroccati su rocce fluttuanti, carte di carta, eroi greci, velieri, dirigibili, ippopotami alati, capre stellate, balene volanti, lune al guinzaglio, circensi.
Conchiglie, cubi, cubetti, cubotti.
Sedie vuote, tele bianche.
Rifugi, fari, altari di roccia, mulini a vento, templi.
Ali di cherubino, barche occhiute in volo, isole campate letteralmente per aria – dal sapore per nulla nichilistico e solitario, ma piuttosto un punto di partenza e un approdo, un porto saldo dell’immaginazione. Insomma, l’equilibrio, il sogno, il volo.

L'errante, 2021, olio su tela, 35x30 cm
La casa del pittore, 2021, olio su tela, 35x30 cm
La stanza dei giochi, 2021, olio su tela, 70x60 cm
Attimi sospesi, 2021, olio su tela, 35x30 cm

Palumbo viene dal mondo pubblicitario e, come racconta la sua biografia, è stato grazie ad un’esperienza in una bottega d’arte e all’incontro con alcuni Maestri contemporanei che egli si è convinto ad approfondire la tecnica della pittura ad olio con velatura. Del mondo pubblicitario l’artista sembra essersi portato dietro la persuasività del racconto, la capacità di non spaventarci sebbene ci mostri mondi incredibili.
«Osservare i dipinti di Palumbo significa lasciarsi sedurre dalla sua espressività pura e scevra di concettualismi concettosi.» – Alberto Agazzani

Come in un sogno, trittico, 2017, olio su tela, 45 x 40 cm cad. (con cornice: 51 x 46 cm cad.)

Breve inciso curioso.
Le tele di Ciro Palumbo, si è detto, per costruzione guardano al teatro. Lo sapete che Palumbo per il teatro ci ha lavorato davvero e come scenografo? É successo proprio di recente, in occasione dello spettacolo “ALDIQUALDILÀ tre maschere dell’aldiqua nell’aldilà dantesco” di Giovanni Del Prete e Ettore Nigro, al Teatro Sannazzaro di Napoli.

STUDIO VISIT

«Siamo colori che pensano, marionette imbarcate nel fato. La tavolozza è il tempo.»
Da “L’uomo e la barca con gli occhi” di Pier Giuseppe Francione, scene drammaturgiche ispirate al ciclo pittorico “Homo Viator” dell’artista.

Non si riflette mai a sufficienza su come anche gli spazi dove gli artisti lavorano diventino delle grandi tele tridimensionali, che riflettono il loro carattere compositivo.
Lo studio di Ciro Palumbo non potevamo immaginarcelo che così: uno spazio ampio ma pieno il giusto.

Gli spazi di Palumbo a Torino sono caratterizzati dalla compresenza di più opere work in progress, visioni contemporanee che il pittore, mente fervidissima, mette a fuoco un po’ per volta, dettaglio dopo dettaglio, come quando si cerca di ricordare un sogno. Il suo è un atelier con tante finestre su altrettanti mondi possibili, sebbene improbabili. Sempre a disposizione e visibile, un tavolo ricolmo di colori e attrezzi del mestiere.
Nonostante il carattere estremamente peculiare della sua poetica, il processo pittorico dell’artista è nato e si è evoluto nel rispetto della tradizione. Il cavalletto, esattamente come una delle sue isole galleggianti, è il porto saldo irrinunciabile che gli permette di procedere in maniera sicura. «Il mio lavoro è fatto di diversi momenti di costruzione. Momenti indispensabili per la riuscita del quadro o di una scultura. L’idea, la ricerca, il disegno, la bozza, la realizzazione e la finitura, ogni momento è vissuto come unico. Tutto ha un suo processo, un cerimoniale […]».
Non manca certo un tocco di inaspettato. Qualche scultura sbuca da dietro una tela addossata alla colonna. Schizzi e prove colore sparpagliate qua e là: abitanti che, come fanno i dettagli dei suoi quadri, nascono e si rivelano allo sguardo pian piano.

BIOGRAFIA

Ciro Palumbo nasce a Zurigo nel 1965. Il suo percorso artistico ha preso avvio dalla poetica della scuola Metafisica di Giorgio de Chirico e Alberto Savinio, per reinventarne tuttavia i fondamenti secondo un’interpretazione personale e del tutto originale. La sua formazione di grafico pubblicitario lo ha portato ad esercitare per anni la professione di Art Director in diverse agenzie pubblicitarie di Torino. È durante questo percorso che egli ha ampliato le proprie capacità visive e compositive e, grazie ad un’esperienza in una moderna bottega d’arte e all’incontro con alcuni Maestri contemporanei, si è convinto ad approfondire la tecnica della pittura ad olio con velatura. Palumbo ha iniziato così la propria attività espositiva nel 1994 e da allora ha realizzato centinaia di mostre personali in tutt’Italia. Nel 2011 ha partecipato alla 54a Biennale di Venezia per il padiglione Piemonte. Tra le esposizioni internazionali sono da segnalare la presenza ad Artexpo di New York, Context Art Miami, nonché personali a Providence (USA) e a Bellinzona (CH). Le sue opere hanno inoltre trovato posto all’interno di collezioni istituzionali e private in Italia e all’estero, tra le quali la collezione della “Fondazione Credito Bergamasco”, presso la “Civica Galleria d’Arte Moderna G. Sciortino” di Monreale (PA), il Museo MACIST di Biella, il Palazzo della Cultura e il MACS di Catania. Attualmente vive e lavora a Torino.