Carlo Cane è convinto che l’uomo non debba mai perdere il contatto con la natura, la debba rispettare e non sopraffare, ma trarne insegnamenti per un futuro sempre più oscuro. Pittore quasi autodidatta, 69 anni, originario di Valenza Po e allievo privato di Giulia Pace Zelaschi e Gian Paolo Cavalli. Ha lavorato per molti anni come orafo incisore e incastonatore, ma il tarlo della pittura lo rodeva fin da fanciullo, quando a 8 anni suo fratello maggiore gli regalò una cassetta di colori.
VALMADONNA – Case vere o immaginate, sospese e corrotte, finestre come orbite vuote, tetti sfondati e porte divelte. Intorno la natura riprende il suo corso, invadendo gli spazi occupati dall’uomo, riappropriandosi lentamente di ciò che era suo, riempendo le stanze con rami e fronde e trasformando le case in opere bizzarre.
Carlo Cane: Frequentai prima una scuola privata di disegno a Valenza Po, e per un po’ di anni alternavo l’attività di orafo con la pittura. Poi, 25 anni fa, la svolta: decisi di mollare il lavoro e fare solo il pittore.
Mario Chiodetti: Una scelta coraggiosa. Che tipo di pittura esercitava allora?
C.C.: Ero paesaggista, la natura è il mio leit motiv, sono sempre stato amante della campagna. La passione me l’hanno trasmessa i miei genitori. Dipingevo colline e il fiume, che per noi è una presenza forte e vicina. Poi, siccome sono appassionato di film gialli, rifacevo grattacieli e case visti al cinema, ispirati dai racconti noir.
M.C.: Nel suo lavoro attuale la natura si prende una rivincita sull’uomo.
C.C.: Dobbiamo renderci conto che oggi la natura è sempre più lontana da noi, la stiamo abbandonando o distruggendo. È compito allora delle arti far riavvicinare la gente alla natura. Non sono un fanatico ambientalista, però ritengo che la tecnologia vada dosata e sia un’assurdità il modo di vivere di oggi, improntato sulla velocità e la superficialità. Facciamo sempre di più cose contrarie ai ritmi naturali, non apprezziamo più né tuteliamo ciò che i nostri padri ci hanno lasciato in gestione.
M.C. : Le sue ultime opere riflettono questo suo stato d’animo.
C.C.: L’uomo sta dando una bella mano al cambiamento climatico, per noi artisti è doveroso scegliere di raccontare la natura, che continuiamo a violentare con discariche, o inquinando le acque. Il progresso ha portato senz’altro una migliore qualità di vita ma dal punto di vista ambientale si sta peggio. Occorre raddrizzare presto il timone. Nei miei ultimi lavori ci sono queste case in decadenza che si disfano a poco a poco, a mostrare che ogni cosa ha un suo tempo, ma anche che lì una volta c’era la vita.
Gli ultimi quadri di Carlo Cane hanno tinte quiete, ocra, bianchi e grigi, verdi e marroni, diverse dalle opere precedenti.
C.C.: C’è stato un periodo in cui lavoravo parecchio per il mercato inglese e americano, che predilige colori più accesi. In quei quadri la natura irrompeva più prepotentemente, con fiori e animali che invadevano ciò che era stato dell’uomo. Oggi, purtroppo, siamo attratti dalla superficie, quindi da colori forti, violenti, come quelli che siamo abituati a vedere nei nostri smartphone o in televisione,. Non pensiamo ad approfondire, a riflettere e scoprire cosa c’è dietro un quadro, la ricerca del pittore e il suo messaggio. Mi rendo conto che le mie opere possono essere fuori luogo, ma voglio mantenere la curiosità, il ricordo di ciò che è stato. In aprile farò una bi-personale a PUNTO SULL’ARTE con i miei ultimi lavori accostati a quelli della collega polacca Marta Mezynska, pittrice dalla grande tecnica che dipinge scorci di negozi e di palazzi, con uno stile agli antipodi del mio.
M.C.: Dai grattacieli enormi e un po’ freddi, squadrati e geometrici, che ricordano quelli progettati da Sant’Elia, lei è arrivato a dipingere case immaginarie, che potrebbero essere ovunque o da nessuna parte.
C.C.: Ero partito con l’architettura, ho studiato Sant’Elia e il suo gruppo, disegnavo al computer palazzi in 3D e poi li riproducevo sulla tela, evidenziando il loro “scioglimento”. Poi la folgorazione di inserire nel quadro la vegetazione. Sono spariti i palazzi di cristallo e arrivate le case, con il bianco come sfondo che non le collega ad alcun luogo. Ero arrivato a togliere molto dalle mie tele, ero diventato quasi un minimalista: palazzo, bianco di sfondo e colature. Nel 2012 feci una mostra per me capitale, “Ghiaccio nove”, prima a Latina e poi a Venezia con i quadri dedicati a palazzi e grattacieli. Lavori molto tecnici, mi sembrava di essere più un architetto che un pittore. Poi sono arrivato a un bivio: o eliminavo ancora la parte pittorica e mi limitavo a linee e macchie per mostrare il decadimento, oppure riprendevo in mano il pennello come in gioventù e riproponevo il colore. Ho scelto la seconda via e i fatti mi stanno dando ragione.
M.C.: Cosa ama Carlo Cane fuori dal suo lavoro?
C.C.: Innanzitutto camminare in campagna, abito a Valmadonna in una vecchia casa ristrutturata, e lavoro molto, come un operaio, dalle 8 del mattino alle 19 di sera. Appena posso pianto lì i pennelli ed esco. Quando dipingo ascolto musica, Bach e Vivaldi ma anche i Coldplay o i Rolling Stones. Altrimenti leggo gli autori del sogno americano, presente in quelli della mia generazione, come Kerouac, ma mi piacciono anche Pirandello, Calvino, Raymond Chandler. Ma anche Jared Diamond di “Armi, acciaio e malattie” e di “Collasso”, saggi che si dovrebbero far leggere nelle scuole.
Mario Chiodetti