GIAPPONE

Tom Porta parla di affinità elettiva, la contemporanea vicinanza e lontananza di chi è prossimo emotivamente ma fisicamente distante e Gaijin, che dà titolo alla mostra, è una parola che in giapponese significa straniero, un sentimento, scrive il curatore Angelo Crespi «tipica del poeta o dell’artista, una condizione nello stesso tempo di fragilità, ma al contempo di continua tensione e apertura verso l’essere delle cose»
La domanda viene spontanea, soprattutto a chi per la prima volta si affaccia al lavoro di questo artista. Perché il Giappone?
Lui cristallino spiega: «Il Giappone racchiude molte sintesi senza tempo. Estetiche, etiche, spirituali. La mia generazione ne ha respirato alcuni aspetti culturali a tutta prima adolescenziali ma carichi di simboli e significati. Siamo anche stati dei bambini e degli adolescenti che hanno praticato arti marziali con insegnanti madrelingua. Credo molti fattori, privi di un vero e proprio contorno, abbiano contribuito al riconoscere delle affinità elettive tra me e questo Paese».

Il senso di estraneità e affinità che muove Porta – e che è la sua forza – non lo conduce a un tentativo di scimmiottare l’arte o le abitudini degli autoctoni. Egli osserva e riporta come un appassionato osservatore occidentale del proprio tempo. Nel suo lavoro non vi è la pretesa del confronto, né la pura imitazione: «sono un uomo arrivato da poco e subito ripartito, a diecimila chilometri e centosettanta anni di distanza. Uno “straniero”.»
Quella di Tom Porta non è curiosità nuda verso una cultura sconosciuta ma omaggio a una terra che conosce e per cui nutre stima e rispetto. Il suo non è un Giappone inventato ma un insieme di riconoscenza, emozioni ed impressioni raccolte dal vivo.

In Tom Porta si ritrova quella sorta di dualismo che sottende allo stesso Giappone nel nostro immaginario e che sembra dunque rivivere e possedere ogni sua opera. Una sorta di aura di estrema freschezza ed estremo passato: da un lato, la modernità e la velocità; dall’altra parte, la tradizione, una storia sempre intatta, lenta, eterna.
Ecco che dalle tele emerge un mondo che sembra essersi fermato nel tempo ma che esiste e palpita di vita, a metà fra fascinazione personale e documento. Ecco riecheggiare la lezione del japonisme o giapponismo, che a più livelli investì, nella seconda metà dell’Ottocento in Francia, gli intellettuali dell’“avanguardia”: c’è chi la visse come una moda passeggera e chi invece abbracciò le tradizioni ed i costumi di quelle terre così esoticamente lontane ed eteree. I segni più profondi li lasciò nell’arte, dove influenzò e aiutò il consolidarsi della poetica impressionista. E gli impressionisti, lo sappiamo, «seppur osteggiati dalla cultura ufficiale, squadernarono in quegli anni la modernità» scrive bene il curatore Angelo Crespi.


Anche Tom Porta ha questa capacità di squadernare il contemporaneo, proiettandolo in avanti e indietro nel tempo e rendendolo al contempo qualcosa di attuale, di storicamente denso e infine di futuristico.
Ecco dunque ritornare nell’arte le 36 viste del Monte Fuji che furono di Hokusai e oggi di Porta, e dunque da guardare con l’occhio del visitatore contemporaneo; un formato agile, da plein air, che riporta ciò che c’è da vedere e al contempo ciò che c’è da provare.

Ecco tornare la rarefazione delle geishe di Kitagawa Utamaro, qui donne fisiche e insieme eteree che sembrano uscire da una vecchia foto, i cui bordi consumati non riescono ad inghiottirle. Non stanno scomparendo nel passato perché la loro grazia sta sopravvivendo così al tempo.


VIAGGIARE NEL TEMPO
La distanza del Gaijin non può venire colmata dalla sola ricerca e dall’aderenza pedissequa alle fonti che, sebbene utili, necessitano pur sempre di un linguaggio per arrivare agli altri. Quello scelto da Porta è la pittura, medium fisicamente ed emotivamente carico che inevitabilmente riempie quella distanza anche di visioni personali, non necessariamente false, anzi semmai piuttosto aderenti alla verità del vissuto interiore e dunque tasselli utili a minimizzare la lontananza.
La potenza delle opere di Tom Porta sta nella capacità del pittore di imprimere sulla tela un incedere lento, creando visioni che sembrano scorci aperti sul passato, su ricordi lontani, su affetti dimenticati che non sapevamo potessero quasi appartenere anche a noi. Guardando nella profondità cinematografica delle sue tele scopriamo nuovi occhi e nuovi legami a immaginari lontani verso i quali noi per primi percepiamo un’urgenza.

Ad un primo sguardo rimaniamo catturati dalle fantasie dei kimono, una sfida pittorica per ammissione dello stesso Porta. Poi emerge l’inquietudine che spesso si accompagna alla riflessione: chi erano quelle figure? Sono esistite davvero? Cosa stiamo sbirciando di loro? Quanto c’è di vero e presente nella loro timidezza e in quel mistero che ci sentiamo così lieti – e colpevoli – di violare?
Lo stile di Tom Porta è decisamente fotografico ma non in senso iperrealista come spesso l’arte contemporanea ci propone: lo è per la scelta dei soggetti e per le inquadrature; per quel nero mangiato dalla luce e dal tempo, come avviene sulle pellicole; per la fumosità quasi cinematografica di quelle presenze vitree a cui ci sentiamo partecipi.
Poi ci sono gli sguardi, che sembrano catturati involontariamente; a volte sono rivolti lontano, assenti; altre volte sono sorridenti come se la loro quotidianità non ci riguardasse. Le tele di Tom Porta sembrano istantanee, tuttavia sembra anche che possa bastare un secondo in più per vedere quei volti girarsi verso di noi e rianimarsi tornando al presente.
Ogni soggetto ci rende testimoni del suo tempo e insieme consapevoli del nostro: sembrano fissi nella loro realtà storica ma in viaggio per arrivare fino a noi.


NON SOLO “QUELLO DEI KAMIKAZE”
Tom Porta è sicuramente un personaggio eclettico. Per la forza e l’innegabile particolarità dei suoi cicli pittorici, dove si mescolano fonti storiche e impressioni contemporanee, la critica ha trovato per lui le nomee più colorite.
Qualcuno lo ha chiamato un “pittore apocalittico” persino “post-atomico”, altri “survivalista”.
Il riferimento era alla serie di suggestive tele del progetto Extinction Agenda, raffiguranti edifici “status symbol” mondiali (come la Torre Eiffel o la Statua Della Libertà, o ancora il milanesissimo Stadio San Siro) completamente mangiati dal tempo e residui da una dissipazione dell’umanità (cfr. Guido Morselli) che pare inesorabilmente prossima.

Si tratta di definizioni forse poco calzanti, come ha riconosciuto lo stesso artista, e certamente semplicistiche, che hanno tuttavia il merito di fare presa nella memoria. Inoltre sottolineano il forte legame con l’immaginario di genere e il cinema, quell’arte di cui abbiamo già ravvisato le tracce pittoriche e che, dice Porta stesso, «resta, nella sua essenza, la forma d’arte che sento più affine dopo la pittura.»

Cinema e fotografia, dunque, per catturare l’istante, la storia e l’emozione. Ecco allora leggere di lui come di un fotoreporter della pittura, in particolare in riferimento alla personale Inferno (1914-1918) che nel 2015 lo ha portato ad esporre al Famedio di Milano settanta opere rievocanti la Prima Guerra Mondiale attraverso il viscerale accostamento con citazioni dell’Inferno dantesco. Un’operazione che si pone in bilico tra ricerca storica, giornalismo, composizione cinematografica e suggestione emotiva personale: «è un po’ Star Wars».
Altri lo ricordano come “quello dei kamikaze”, per il ciclo di grande successo “Shinpu Tokkotai Project” Ispirato ai corpi speciali di attacco giapponesi della Seconda Guerra Mondiale, noti ai più come kamikaze. Porta ha generato un vero e proprio repertorio di soldati, tratti dalle documentazioni dell’epoca, e ne ha riprodotto con precisione l’aspetto, riuscendo tuttavia a coglierne il lato estremamente presente e vivo. Ancora una volta si può scorgere in quelle opere il desiderio di racconto fattuale e insieme culturale, e ancora l’interesse per “il fattore umano”, per le vicende individuali e la vita dietro quei volti ritratti e a quelle frasi riportate con cura. Lo stesso Porta ha raccontato: «Studiai due anni prima di mettermi all’opera. Riuscii a recuperare le foto scattate nelle basi prima della missione, il volto di chi era consapevole che si trattava dell’ultimo giorno. Feci 140 quadri, poi dopo quattro anni non ressi più. Mi erano entrati dentro».
Altre definizioni per questo artista sono emerse con i più recenti lavori: “affabulatore scanzonato”, o ancora “guerriero cosmopolita”.
Quando Porta volge il suo sguardo alla storia, non lo fa con anacronismo ma con profondo senso dell’attualità e come uomo del proprio tempo.


Vale la pena ad esempio ricordare in questa rapida rassegna dei suoi lavori anche la personale “The BoX – Beauty Overkill” del 2016. Teschi, sempre uguali ma sempre diversi, continuamente brandizzati con i simboli più pop della nostra contemporaneità – da Facebook ai Pink Floyd, passando per Superman, Louis Vuitton. Una galleria affascinante quanto surreale, con quell’ ineliminabile senso di storicità e di presenza che ci permettono di gettare uno sguardo sia al passato che all’attualità con tutta la scioltezza propria di questo artista.
ROCK ‘N ROLL
Una delle definizioni che forse ci è sembrata tra le più calzanti è quella di rocker. Tom Porta è rock nel modo in cui attraversa i mondi e i tempi, ovvero con quella facilità e naturalezza che si attribuisce al chitarrista mentre corre sulle corde della sua chitarra e che cela una concentrata passione e venerazione per le cose che si porta dentro.
Rock non vuole dire per forza suoni distorti, ma tutto ciò che è autentico, emotivo, vero. Non stupisca che, tra le grandi passioni di questo artista, oltre al Giappone che ritrae così spesso, ci sia proprio la musica. Ma anche i supereroi, i fumetti, le All Star Converse, i motori. In un’intervista, di cui vi proponiamo alcuni passaggi, si è raccontato così:
Sono 36 anni che suono la chitarra. Cresco con i Kiss, grazie ad una folgorazione avuta a 12 anni. Travestiti, truccati quasi da personaggi da fumetto, ma con una chitarra in mano. Dopo due anni, a 14, la mia prima chitarra classica. Il rock and roll era la mia vita […] in particolar modo il rock americano, come i Van Halen, arrivati al successo in Italia intorno ai primi anni ’80. […] Ho studiato chitarra in California ma poi la mia meta è stata New York. Il mio giorno arriva quando, leggendo un annuncio su Village Voice, decido di partecipare a un’audizione per il posto di chitarrista in una band. Eravamo in 250, alla fine presero me. […] Nel 1994, tornato in Italia, mi appassiono alla fotografia e pubblico un libro. Archiviato il mio vecchio lavoro, grazie al consiglio di un’amica, inizio a dipingere. Capisco che è la mia strada, dipingo incessantemente, inizia la mia grande avventura.»
Ecco: Tom Porta è una personalità variegata come variegate sono le sue passioni ed i soggetti a cui rivolge attenzione nella propria arte. Quello che emerge sempre, ed è forse ciò che contraddistingue e dà forza alle sue opere, è il forte senso di riconoscenza verso i propri miti e dunque verso quel vissuto personale che egli imprime sulla tela.
Basta sbirciare Instagram per rintracciare quel variegato background di esperienze che ci fanno apparire le sue opere così fresche e attuali, anche quando animate da figure di un secolo fa. Si avverte il desiderio di dare un senso, fare, incarnare la storia come hanno fatto coloro di cui ritrae i volti, che si tratti di geishe, samurai, kamikaze, del Barone Rosso Manfred Von Richtohofen, o di star del rock a stelle e strisce: Lemmy Kilmster dei Motorhead, o ancora David Lee Roth. Le sue opere vivono di un’ambizione genuina carica di senso di responsabilità verso questi suoi idoli.


Quel principio primo, quella folgorazione di un Porta dodicenne, è stata anche lei definitivamente impressa sulla tela: a quel demone da cui è scaturito tutto l’artista ha dedicato una grande tela, poi andata in mostra da protagonista ad Art Miami nel dicembre 2019. Il riferimento è a Gene Simmons, aka The Demon, membro fondatore dei Kiss.
Proprio nel 2019 iniziava l’End of the Road World Tour, il tour d’addio con il quale, a luglio 2022, la band statunitense intende salutare definitivamente la scena musicale mondiale.


Quel grande ritratto è una dedica, forse una speranza, sicuramente un’icona: consacrata e contemporaneamente sconsacrata, perché tanto immortale quanto viva, rumorosa e felicemente ancora tanto presente in carne ed ossa. Essere sicuri di sé è l’imperativo della nostra epoca, ma rincuora scoprire casi in cui questa sicurezza fa il paio con il rispetto verso coloro con i quali ci si misura. Vedere Tom Porta con il sorriso emozionato tipico del fan rinfresca lo spirito tanto quanto fanno le sue opere al primo incontro.
Curiosando oltre nel suo profilo social, tutto d’un tratto si capita su cieli carichi di luce ed elettricità; o ancora, il mare, la schiuma delle onde, gli alberi, le ombre. Lavori fortemente fotografici, piccoli formati come i 36 Monte Fuji in mostra per Gaijin ma fatti durante la quarantena, per buttare sulla tela le sensazioni del momento storico che stava vivendo, quegli attimi strani di una vita estremamente qui e ora da cui trarre uno slancio ancora una volta.

Anche il suo studio esprime la miriade di immaginari a cui egli attinge: modellini, fumetti, libri, cataloghi, sculture, riviste, vinili, elmetti, biglietti di concerti. Qualcuno lo ha definito un animo gotico che vive in una caverna d’arte, una batcave. Qualcuno lo ha definito il supereroe della pittura. Lui, i panni da supereroe, sulla tela li ha anche indossati.
“Quando si supera il test del tempo, questo deve farci riflettere. Whitesnake, Motley Crue o Judas Priest, l’età avanza, ma tanto di cappello. Anche nell’arte è così, penso a Velasquez e Caravaggio, perché il discorso della tecnica, anche se complesso, è semplice, è al servizio dell’espressione, avere la capacità di far bene una cosa”


Porta è un animo di quiete e tempesta, a volte inafferrabile, con un desiderio profondo: vivere appieno, sia nel passato che nel presente, un po’ eroicamente, un po’ da sopravvissuto alla dissipazione; raccogliere tutte queste spinte e immaginare il futuro.
Il cavalletto è la confort zone e la disciplina, un picchetto del pensiero dove convogliare tutte le energie, placandole, cercando di sintetizzare la bellezza in un mondo di caos. È solo mettendo assieme tutte queste visioni che si arriva a comprendere la peculiarità di Porta e delle sue più recenti opere, la cui delicatezza è ricchezza poiché scaturita da un occhio affamato ma consapevole e rispettoso, che sente, vive, dipinge le proprie passioni appieno, così tanto da farcele sentire, da straniero, anche un po’ nostre.
BIOGRAFIA

Tom Porta nasce a Milano nel 1970 e fin dall’infanzia mostra una forte attitudine verso il disegno e le arti in generale. Comincia come musicista a 14 anni. Questa sua prima passione lo condurrà nel 1989 fino negli Stati Uniti. Tornato in Italia si diploma Maestro d’Arte e inizia una carriera di successo nell’illustrazione e nella fotografia. Ha vissuto in Italia, Germania, Francia, Giappone e Stati Uniti e, fin dagli inizi della carriera, ha scelto di fondere le sue esperienze di vita nella propria pittura. Dal 2003 abbandona l’illustrazione e la fotografia e si dedica alla pittura a tempo pieno conquistando in breve tempo una posizione di rilievo nel panorama artistico italiano. Presente nella classifica dei primi 100 artisti italiani (2007), Porta viene inserito in pubblicazioni di prestigio come “500 anni di pittura italiana” e cataloghi di Sotheby’s e Christie’s. Il suo lavoro si concentra sulla storia del 900 usando il passato come specchio del presente. L’artista è inoltre attratto dallo scorrere del tempo, raccontato attraverso oggetti e luoghi scelti per invitare lo spettatore a intraprendere il suo personalissimo viaggio entro le memorie presenti e future. Ha realizzato numerose mostre personali e collettive, tra cui si ricordano: “W.A.R. – We are Restless, the unheard soldier scream” presso il Palazzo Ducale di Genova (2011), “Inferno” presso il Famedio del Cimitero Monumentale di Milano in occasione del centenario della Prima Guerra Mondiale (2014), “Icarus” presso il Terminal 1 dell’Aeroporto di Milano Malpensa (2018) e “Inferno” presso il Grattacielo Pirelli a Milano (2018). Vive e lavora a Milano.