TERRIFIC STEPHENS, genio e sregolatezza
Brian Keith Stephens è un pittore decisamente eclettico. Nasconde dentro di sé e nella propria arte il più terribile e al contempo magnifico aspetto della contemporaneità: non sapere mai cosa aspettarsi. L’artista rinnova il proprio sguardo sul mondo naturale, e grande è la sua capacità di sperimentare. Stephens è infatti un artista terrific, in tutte le accezioni che può avere questo termine inglese, preso da noi momentaneamente in prestito per descriverlo: terrificante, il non sapere cosa aspettarsi. Ma anche incredibile, eccezionale, favoloso

Stephens è un artista la cui energia e sregolatezza, nel tratto pittorico come nell’atto creativo, affascinano e disorientano. Lavorare su tanti pezzi contemporaneamente fa parte del suo metodo e del suo processo creativo: non si focalizza su una sola opera per volta ma parte da molteplici schizzi; man mano aggiunge elementi, mettendo a fuoco un po’ per volta ogni lavoro, spostandosi da uno all’altro preso dalla carica adrenalinica del fare artistico.

Adora la vitalità che si sprigiona in studio, e questo emerge anche dall’estetica vibrante delle stesse tele, per nulla manieristiche o fossilizzate, e al contrario fresche, ariose. Hanno uno stile dinamico e i confini tra realtà e immaginazione svaniscono nel colore pastoso e molto stratificato. Il tratto è rapido, divertito ma non superficiale. Insomma, si percepisce l’ispirazione debordante, che parte caotica per trasformarsi in opere di magnifica ricchezza simbolica.
La pittura di Stephens, che parte dunque densa di giocosità, di provocazione e a volte di non-sense – ed è quindi anzitutto molto personale e introspettiva – alla fine risulta accessibile a tutti: permette allo spettatore la libera associazione di idee e dunque la più pura fruizione contemplativa senza preconcetti. Un linguaggio visivo così emotivo è in grado di riportarci alla mente istinti reconditi e di far riaffiorare sulla pelle sensazioni elementari.


Lo ha raccontato lo stesso Stephens in una passata intervista: «Per quanto mi riguarda, le emozioni che occupano la mia mente e catturano la mia energia sono quelle dell’amore, del desiderio e della paura del dolore o della delusione. E così, al centro del mio lavoro ci sono queste forti emozioni: guidano la mia mano a dipingere e il mio cuore e la mia mente a vivere. Il mio lavoro esplora le emozioni che ci guidano, che ci attirano e ci spingono e alla fine definiscono chi siamo, in relazione agli altri e a noi stessi.»
Egli crede che proprio gli animali siano in grado di esprimere queste emozioni in modo immediato e comprensibile, sebbene comunque misterioso e affascinante. In passato, nelle sue opere, figure umane e animali entravano in un gioco di giustapposizione e consonanza cromatica e ideale: una mistica alter-realtà in cui l’umano è l’animale e l’animale è l’umano, l’uno l’alter ego dell’altro, due personalità distinte eppure in rimando continuo fra loro.
Dalle sue ricerche più recenti e dal suo soggiorno italiano sono nate invece opere dove flora e fauna sono scevre dell’elemento umano e sono un condensato di pura emotività, come nel caso delle nature morte. La relazione tra individuo e natura permane ma è completamente interiorizzata e non esplicitata sulla tela.


E non è un caso che in questa sua nuova produzione artistica ritorni spesso il concetto di giardino segreto, un luogo legato a doppio filo tanto ad una natura esotica e favolistica quanto alle passioni terrene. Nelle inedite opere su carta che saranno presenti in mostra, di impostazione fortemente grafica e dall’andamento modulare, il suo soggetto prediletto – l’animale appunto – è poi ulteriormente spogliato del naturalismo dei lavori precedenti ed è divenuto un pattern, una pura allegoria, un segno grafico ripetuto, sdoppiato, esasperato fino quasi a dissolversi





Tra i riferimenti insospettabili, che una volta svelati emergono però con chiarezza, c’è la Sala di Re Ruggero II, con i suoi mosaici ed arabeschi, nel Palazzo dei Normanni a Palermo.


Vi si trovano rappresentati alberi e animali molto stilizzati, creature fantastiche e scene di caccia su fondo oro. I pavoni, i leoni e tutte le altre creature esotiche hanno un intento simbolico ed allegorico: l’insieme crea un’atmosfera fiabesca e le scene si inseriscono appieno nell’estetica del Genoardo, da gennet-ol-ardh ovvero “paradiso della terra” di tradizione islamica. I temi sono mondani e mancano riferimenti diretti al sacro, poiché la magnificenza è per le cose terrene: a differenza della vicina Cappella Palatina, questa sala era destinata ad uso esclusivo del sovrano, per i suoi momenti di svago, di ricreazione. Un linguaggio visivo che andava colto anche nella sua giocosità dunque, e nella creatività di Stephens questo intento non poteva che essere riconfermato e rinnovato, grazie ad un medium più attuale – la carta – e a forme di colore giustapposte proprio con un andamento geometrico analogo a quello del mosaico.


Stephens porta una moltitudine di stimoli, di stili e di materiali nel suo lavoro. Nel corso della sua carriera, ha utilizzato tecniche differenti per la sua arte, spesso attaccando tessuti alla superficie delle sue tele, sovrapposti con ampie pennellate e colpi di spatola. Uno strumento meno noto nella sua produzione, ma che per certi versi aiuta a comprendere appieno lo stile eclettico di questo artista, è quello del video.
L’estetica a cui Stephens fa riferimento, oggi come in passato, è fatta di tinte retrò, stile vacanze estive a Palm Springs: una nostalgica visione della sregolatezza dell’infanzia e momenti di spensierato vagare con la mente. Questa estetica emerge con ancora maggiore forza proprio nei video dell’artista, filmati che egli considera un elemento aggiunto alle proprie creazioni pittoriche, una sorta di thinking of (e non tanto un making of) del proprio lavoro in studio


Sono video che in qualche modo permettono allo spettatore di entrare in sintonia con il suo universo immaginativo, grazie ad un uso esemplare del colore, l’assenza di traiettorie precise, la presenza di un aura di adolescenza eterna che sono le stesse che si ritrovano sulle tele.
«Al centro del mio lavoro e della mia vita ci sono queste fascinazioni per il mito, lo spettro della passione umana, la nostra affinità con lo spirito dell’animale selvatico e la sfida di bilanciare il reale con la fantasia. Dobbiamo bilanciare tutto questo mentre navighiamo anche nello spettro del tempo, la rete di passato, presente e futuro. La mia arte è stata e continua ad essere il mio sbocco per esplorare questi temi e evocarne di nuovi.»